Quando il Canada ha legalizzato la cannabis a uso ricreativo nell’ottobre del 2018, molti osservatori internazionali si sono divisi tra scetticismo e entusiasmo. Cinque anni dopo, i numeri raccontano una realtà che va ben oltre ogni previsione: il settore legale ha generato circa 7 miliardi di dollari canadesi di Prodotto Interno Lordo annuo, contribuendo alla trasformazione non solo economica, ma anche culturale e giuridica del paese. Ma l’aspetto forse più sorprendente è un altro: il mercato nero è stato drasticamente ridimensionato.
Un esperimento nazionale diventato modello globale
Il Canada è stato il primo Paese del G7 a legalizzare la cannabis su scala nazionale. La decisione del governo Trudeau non è stata solo un azzardo politico o una concessione alle libertà individuali, ma un piano strategico ben calibrato su tre fronti: regolamentazione, sicurezza e economia.
I risultati sono tangibili: secondo Statistics Canada, oltre il 70% dei consumatori oggi acquista cannabis attraverso canali legali, un ribaltamento netto rispetto al 2018, quando il mercato nero rappresentava oltre i due terzi delle transazioni.
Dalla marginalità al mainstream economico
I 7 miliardi di PIL generati dal settore non sono solo il frutto della vendita al dettaglio. Dietro ci sono intere filiere: coltivazioni, lavorazioni, distribuzione, logistica, tecnologia, ricerca scientifica, packaging e marketing. Si stima che l’industria della cannabis abbia creato più di 100.000 posti di lavoro diretti e indiretti, offrendo opportunità anche in aree rurali in declino.
Le province più attive, come l’Ontario e la British Columbia, hanno visto nascere veri e propri distretti industriali della cannabis. E l’ecosistema legale ha dato spazio anche a startup innovative, università impegnate nella ricerca sugli effetti terapeutici del THC e CBD, e aziende tech che sviluppano software per la tracciabilità e il rispetto delle normative.
Il declino silenzioso del mercato nero
Se il settore legale ha fatto rumore per la sua crescita, quello illegale ha subito una lenta ma costante estinzione. Nonostante le previsioni iniziali che temevano la sopravvivenza del “vecchio” mercato parallelo, la realtà è stata diversa: l’abbassamento dei prezzi, l’accessibilità capillare dei negozi legali e la qualità certificata dei prodotti hanno reso l’offerta illecita poco competitiva.
Inoltre, la legalizzazione ha sottratto ossigeno alle reti criminali. Le autorità hanno potuto concentrare risorse investigative su altri reati, mentre i cittadini non rischiano più pene penali per il semplice possesso. Questo ha anche ridotto l’onere giudiziario sul sistema legale, con un risparmio stimato in centinaia di milioni di dollari.
I paradossi di una nuova normalità
Tuttavia, non tutto è stato semplice. Alcune comunità locali hanno resistito all’apertura di dispensari, temendo effetti sociali negativi. Altri critici hanno sollevato dubbi sulla pubblicità e sulla percezione della cannabis tra i più giovani. Ma nel complesso, il modello canadese ha dimostrato che la legalizzazione non è sinonimo di liberalizzazione incontrollata, bensì di governance e responsabilità.
Uno degli aspetti più rilevanti è che la cannabis legale ha anche stimolato nuove conversazioni pubbliche: dalla lotta allo stigma, alla discussione sulla giustizia sociale e la riabilitazione dei condannati per reati legati alla marijuana in epoca pre-legale.
La fine del tabù, l’inizio di una nuova economia
Il Canada non ha semplicemente legalizzato una sostanza. Ha costruito un intero settore economico da zero, ha ridato fiducia ai cittadini e ha mostrato al mondo che una politica pubblica audace può produrre benefici reali e misurabili. I 7 miliardi di PIL rappresentano molto più che un valore contabile: sono il simbolo di una rivoluzione verde che ha trasformato un problema legale in un’opportunità economica e sociale.
In un mondo dove molti paesi ancora dibattono sulla cannabis, il Canada cammina già su un’altra strada — quella di un’economia verde, legale e (finalmente) trasparente.