Quella che doveva essere una svolta per i malati cronici e per chi soffre di dolori gravi si sta trasformando in un incubo. In Piemonte, l’accesso alla cannabis terapeutica resta un percorso a ostacoli fatto di ritardi, burocrazia e norme inadeguate, con il risultato che molti pazienti, pur avendone diritto, rimangono senza cure.
Le segnalazioni si moltiplicano: farmacie ospedaliere sprovviste dei medicinali, ASL incapaci di garantire continuità terapeutica e una legge regionale che, invece di facilitare i malati, li penalizza. La normativa di riferimento, la Legge regionale n.11 del 15 giugno 2015, prevede infatti che i farmaci a base di cannabis siano distribuiti solo “in ambito ospedaliero o in strutture assimilabili”. Una limitazione che complica ulteriormente la vita di chi ha bisogno di queste terapie.
Secondo Igor Boni e Federica Valcauda di Europa Radicale, il problema è anche la totale assenza di una banca dati regionale. “Non sappiamo quanti siano i pazienti che utilizzano la cannabis terapeutica, né quali siano le scorte realmente necessarie. Abbiamo chiesto alle principali ASL di fornirci i dati, ma non abbiamo ancora ricevuto risposte. La Regione deve attivarsi subito, creando un sistema trasparente che permetta di pianificare l’approvvigionamento e di garantire l’accesso alle cure”.
La testimonianza di Federica, rappresentante dell’Associazione Pazienti Canapa Medica, fotografa bene la situazione. Dopo otto mesi di terapia con olio di cannabis, nell’estate 2024 ha chiesto all’ospedale Cardinal Massaia di Asti di integrare la cura con cartine per la vaporizzazione, utili nei momenti di dolore acuto e insonnia. La richiesta è stata respinta: secondo il reparto, olio e vaporizzazione avrebbero lo stesso effetto. Una posizione che la scienza smentisce, dato che le due modalità hanno azioni diverse.
“Ho presentato un reclamo – racconta Federica – e dopo quattro mesi ho ricevuto una risposta che, oltre a essere insoddisfacente, riportava addirittura i dati di un’altra paziente. Mi hanno detto che usare due metodi di somministrazione sarebbe imprudente. Ma allora tutti i medici che prescrivono entrambi sbagliano? Intanto io, con una prescrizione specialistica valida, non posso accedere a una terapia completa. E i costi elevati mi impediscono di acquistare ciò che manca privatamente”.
Per lei la cannabis terapeutica ha rappresentato una rinascita: ha sostituito quattro diversi farmaci, l’ha liberata dalla dipendenza da oppiacei e le ha restituito una vita dignitosa. “Siamo malati, non numeri. La Regione non può lasciarci soli”, conclude.
E Federica non è un caso isolato: decine di pazienti piemontesi vivono lo stesso calvario, rimbalzati tra uffici e normative confuse, spesso costretti a sospendere terapie fondamentali. Il nodo centrale resta la gestione dell’approvvigionamento, aggravata dall’assenza di trasparenza e di un reale monitoraggio dei bisogni.
La cannabis terapeutica non è un privilegio, ma un diritto sancito dalla legge. Eppure, in Piemonte, continua a rimanere un miraggio per molti malati. Le istituzioni hanno davanti a sé una scelta semplice: garantire cure adeguate e continuità terapeutica. La domanda che resta aperta è una sola: quanto tempo ancora dovranno aspettare i pazienti?