Cannabis light vietata per la sicurezza stradale? Il paradosso italiano mentre in Germania gli incidenti diminuiscono dopo la legalizzazione.
Mentre il governo italiano intensifica la sua crociata contro la cannabis light — attraverso l’articolo 18 del cosiddetto Decreto Sicurezza che vieta la coltivazione e la vendita delle infiorescenze con THC inferiore allo 0,3% — in Germania, dove la cannabis a uso ricreativo con THC è stata legalizzata da oltre un anno, si registra un dato sorprendente: gli incidenti stradali sono in calo.
La giustificazione ufficiale alla base del divieto italiano ruota attorno alla “tutela della sicurezza stradale”. Una motivazione che, a un primo sguardo, potrebbe apparire legittima. Ma basta osservare l’esperienza di un paese europeo che ha affrontato la questione in maniera scientifica e progressista per comprendere quanto queste misure siano non solo sproporzionate, ma prive di ogni fondamento empirico.
Nel 2024, la Germania ha avviato la legalizzazione della cannabis con THC, consentendone l’uso personale in contesti regolamentati. La misura, adottata con grande attenzione sanitaria e sociale, ha suscitato inizialmente qualche timore, in particolare in relazione alla sicurezza stradale. Le autorità tedesche, tuttavia, hanno affiancato la riforma con un robusto sistema di monitoraggio.
I dati raccolti a un anno dalla legalizzazione parlano chiaro: non solo non si è verificato un aumento degli incidenti stradali legati all’uso di cannabis, ma il numero complessivo di sinistri è diminuito. Le rilevazioni mostrano un calo degli incidenti attribuiti alla guida sotto l’effetto di sostanze, incluso l’alcol, e un miglioramento della consapevolezza dei rischi grazie alle campagne di informazione e prevenzione avviate parallelamente.
La Germania ha quindi dimostrato che regolamentare la cannabis in modo trasparente non compromette la sicurezza pubblica, anzi, la migliora.
Italia: un provvedimento ideologico e incostituzionale
Alla luce di questo scenario, la posizione italiana appare anacronistica e ideologica. L’articolo 18 del Decreto Sicurezza, entrato in vigore il 12 aprile 2025, vieta esplicitamente la coltivazione e la commercializzazione delle infiorescenze di cannabis light, pur trattandosi di prodotti a basso contenuto di THC, privi di effetti psicoattivi.
La misura colpisce un intero settore economico composto da migliaia di imprese e da oltre 22.000 lavoratori, cancellando con un tratto di penna anni di investimenti pubblici e privati, e andando contro la legge 242 del 2016 che ne aveva legittimato la coltivazione per scopi industriali. Le conseguenze economiche e occupazionali sono gravissime, soprattutto per le piccole e medie imprese agricole.
Ma ciò che rende il provvedimento particolarmente grave è la totale assenza di fondamento scientifico: la cannabis light non ha effetti stupefacenti, non altera le capacità psicomotorie e non è mai stata collegata a incidenti stradali. Le infiorescenze vendute legalmente rispettano limiti di THC talmente bassi da non produrre alcun effetto psicotropo.
Un attacco ai diritti e alla legalità
Numerosi costituzionalisti, giuristi ed esperti del settore hanno già definito l’articolo 18 come una norma priva di basi razionali, scientifiche e giuridiche, contraria ai principi costituzionali di libertà economica e proporzionalità della pena. La repressione preventiva di una coltivazione legale e trasparente, in assenza di qualsiasi evidenza di pericolo per la salute pubblica o la sicurezza stradale, rischia di aprire un grave precedente.
Nel frattempo, il paradosso si fa evidente: in Italia si vieta la cannabis light in nome della sicurezza stradale, mentre in Germania si legalizza quella con THC senza alcun peggioramento, anzi con un miglioramento dei dati relativi alla sicurezza.
L’Italia ha ora di fronte una scelta: continuare sulla strada della repressione miope, oppure prendere esempio da chi, come la Germania, ha scelto di affrontare il tema in modo maturo, basandosi su evidenze e non su pregiudizi. La legalità non si difende con i divieti ciechi, ma con il coraggio di riformare e di ascoltare i dati.