Un recente approfondimento scientifico apre nuove prospettive nel trattamento delle malattie neurodegenerative, mettendo in evidenza il valore di alcuni cannabinoidi meno conosciuti presenti nella cannabis.

L'informazione
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Un recente approfondimento scientifico apre nuove prospettive nel trattamento delle malattie neurodegenerative, mettendo in evidenza il valore di alcuni cannabinoidi meno conosciuti presenti nella cannabis.
Nei giorni scorsi è apparso su Fanpage.it un articolo dal titolo decisamente sensazionalistico: “Perché gli uomini devono smettere di fumare cannabis se vogliono avere un figlio”. Un titolo che, pur facendo riferimento a una ricerca scientifica, finisce per trasmettere un messaggio fuorviante e impreciso. Vediamo perché.
Sebbene la canapa non produca nettare né presenti caratteristiche tipiche delle piante che attraggono impollinatori, si distingue per la sua capacità di generare grandi quantità di polline in un periodo dell’anno in cui molte altre colture sono ormai sfiorite.
Il rapporto dell’ANSES (Agenzia francese per la sicurezza sanitaria), redatto a supporto dell’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche), che propone la classificazione del cannabidiolo (CBD) come ‘sospetto tossico per la riproduzione’, ha suscitato numerose critiche e sollevato dubbi sulla sua solidità scientifica e coerenza metodologica.
Questa mattina l’associazione Canapa Sativa Italia ha presentato lo studio di settore commissionato ad MPG Consulting, primo nel suo genere, il quale ha rivelato il potenziale economico del mercato delle infiorescenze in Italia:1 miliardo di euro di impatto diretto, 1 miliardo di impatto indiretto, oltre 20mila posti di lavoro tra coltivazione, lavorazione e distribuzione.
L’idea che la cannabis possa avere un legame con il controllo del peso corporeo potrebbe sembrare controintuitiva, soprattutto considerando che il consumo di THC è spesso associato ad un aumento dell’appetito (la cosiddetta “fame chimica”). Tuttavia, diversi studi suggeriscono che chi usa regolarmente la cannabis ha meno probabilità di soffrire di obesità rispetto a chi non ne fa uso.
Nei giorni scorsi, numerosi quotidiani nazionali italiani hanno pubblicato articoli che mettono in discussione la compatibilità tra l’uso di cannabis e l’ambito lavorativo. Testate autorevoli, come il Corriere della Sera , hanno riportato titoli allarmistici, tra cui: “Con la cannabis memoria e salute del cervello sono a rischio.” Tuttavia, tali titoli si sono rivelati meramente sensazionalistici, finalizzati ad attirare l’attenzione dei lettori.
Lo studio mirava a determinare l’effetto del cannabidiolo vaporizzato (CBD) sulla funzione visiva e sulle prestazioni di guida dei veicoli, data la crescente popolarità dell’uso del CBD in tutto il mondo.
Trenta partecipanti sono stati reclutati tramite annunci pubblicati sul giornale locale e distribuiti tra la comunità universitaria. Avevano un’età media di 26,2 (6,2) anni e il 70% erano maschi. Tutti erano consumatori occasionali di CBD o cannabis e possedevano patenti di guida valide.
L’alcolismo rappresenta una delle dipendenze più diffuse al mondo e, nonostante i progressi della ricerca, le terapie farmacologiche disponibili sono ancora scarse. In questo scenario, il cannabidiolo (CBD) si sta imponendo come un potenziale strumento terapeutico innovativo.
La cannabis è spesso accusata di compromettere la memoria a breve termine, ma un nuovo studio suggerisce che il suo impatto sul cervello nel lungo periodo potrebbe essere meno dannoso di quanto comunemente si pensi.