La tragica morte dell’agente Alessio Scarpati a Torre del Greco ha scosso profondamente il Paese. Una vita spezzata nel pieno del dovere, un dolore che appartiene a tutta la comunità. Ma c’è qualcosa di ancora più triste del destino di un servitore dello Stato: la strumentalizzazione politica della sua morte.
Il senatore Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia, ha dichiarato che dietro chi propone la legalizzazione delle droghe leggere ci sarebbero i “responsabili morali” di questa tragedia. Un’accusa indegna, che oltre a mancare di rispetto alla memoria dell’agente caduto, rivela la totale assenza di una visione razionale sul tema delle droghe.
Confondere l’uso di cannabis regolamentato con l’abuso di sostanze stupefacenti pericolose significa fare propaganda sulla pelle dei morti, e soprattutto rifiutare la realtà dei fatti. È proprio il proibizionismo cieco, quello che Gasparri difende con tanta foga, ad aver consegnato per decenni il mercato della droga alle mafie, ai trafficanti, a chi non si cura delle vite umane.
La legalizzazione della cannabis, al contrario, è uno strumento di controllo, di prevenzione e di riduzione del danno. Dove è stata introdotta — dal Canada al Portogallo, passando per diversi Stati americani — si è visto un calo dei reati legati al traffico illegale, una diminuzione del consumo tra i minori, e un maggior accesso a cure e percorsi di recupero per chi ne ha bisogno. Legalizzare significa sottrarre soldi alle mafie, non incentivarle.
Gasparri, nel suo discorso, riprende un copione vecchio di quasi un secolo, quello che negli anni ’30 venne usato negli Stati Uniti da figure come Henry Kissinger (allora giovane funzionario del governo), che non esitò ad associare qualsiasi reato all’utilizzo di cannabis pur di alimentare la paura e giustificare politiche repressive. Proprio come oggi, la disinformazione serviva a consolidare potere e consenso, non a proteggere i cittadini.
È lo stesso meccanismo: si prende una tragedia, si ignora la complessità, si crea un nemico simbolico — “le droghe”, “chi vuole legalizzare” — e lo si usa per raccogliere applausi facili. Ma la verità è che questa retorica moralista non salva nessuno, e continua a generare le condizioni in cui le tragedie avvengono.
Se davvero vogliamo onorare la memoria di Alessio Scarpati, dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà: la guerra alla droga è fallita. L’unica strada possibile è quella della responsabilità, della conoscenza e della regolamentazione.
Le parole di Gasparri non sono solo sbagliate: sono un’offesa alla logica, alla giustizia e alla memoria di chi, come Scarpati, ha dato la vita per un Paese che merita molto più della propaganda.

