La relazione tra sostanze psicoattive, cultura e percezione sociale è complessa e spesso contraddittoria. Due casi emblematici sono l’alcol e la canapa: il primo sottovalutato nei suoi effetti negativi, la seconda sopravvalutata nei rischi che comporta. Queste distorsioni rivelano una forma di dissonanza cognitiva collettiva, cioè la tendenza delle persone a mantenere convinzioni e abitudini che non coincidono con le evidenze scientifiche, pur di non mettere in discussione il proprio stile di vita o i modelli culturali dominanti.
L’alcol è una delle sostanze più consumate e accettate a livello sociale. È associato a momenti di convivialità, celebrazione, svago e persino a rituali religiosi. Questa normalizzazione si scontra con i dati epidemiologici: l’alcol è uno dei principali fattori di rischio per tumori, malattie cardiovascolari e incidenti stradali; l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che non esiste una soglia sicura di consumo; in Europa, l’alcol causa ogni anno circa 800.000 morti premature, 2200 persone al giorno. Nonostante queste evidenze, la percezione collettiva resta blanda: bere “moderatamente” è visto come socialmente accettabile, addirittura salutare in alcuni contesti, e i rischi reali vengono minimizzati. Questo divario fra dati e convinzioni riflette la dissonanza cognitiva: ammettere che anche un bicchiere di vino quotidiano possa nuocere significherebbe mettere in discussione tradizioni radicate e pratiche personali.
La situazione opposta si osserva con la cannabis. Per decenni, campagne politiche e mediatiche l’hanno associata a devianza, pericolo e degrado, creando un immaginario collettivo in cui l’uso di cannabis è percepito come estremamente rischioso. Eppure, la ricerca scientifica racconta una realtà più sfumata: i danni esistono (soprattutto sull’uso precoce e massiccio, o in soggetti predisposti a disturbi psicotici), ma sono nettamente inferiori rispetto a quelli legati all’alcol o al tabacco; non è correlata a un significativo aumento di mortalità diretta; in diversi contesti clinici, estratti di cannabis vengono utilizzati come terapia. Nonostante questo, la percezione pubblica rimane sproporzionata: molti la considerano più pericolosa dell’alcol, ignorando le evidenze contrarie. In questo caso, la dissonanza cognitiva si esprime nel mantenimento di un giudizio severo, funzionale a rafforzare narrazioni sociali e politiche costruite nel tempo.
Alcol e cannabis mostrano due lati della stessa medaglia: l’alcol è culturalmente accettato ma oggettivamente dannoso, con un rischio sottovalutato; la canapa è stigmatizzata ma scientificamente meno pericolosa, con un rischio sopravvalutato. Questo doppio paradosso mette in luce come la percezione del rischio non derivi solo dai dati, ma anche da fattori culturali, politici ed emotivi. La dissonanza cognitiva aiuta a spiegare perché la società riesca a convivere con l’idea di “bere responsabilmente” ignorando le conseguenze, mentre fatichi a riconsiderare in modo critico i pregiudizi su una sostanza come la cannabis.
Un discorso analogo può essere esteso ad altre sostanze o abitudini dannose, come il fumo di tabacco, l’obesità o il gioco d’azzardo: comportamenti che, in alcuni casi, risultano nocivi anche se praticati di rado, e in altri possono provocare danni irreversibili e migliaia di morti ogni anno. Nonostante ciò, tutto rimane legale — e di conseguenza la percezione del pericolo resta bassa.
Il governo, da parte sua, si limita a raccomandare “gioca responsabilmente”, lavandosene le mani, mentre incassa milioni di euro dal gioco d’azzardo, così come ne incassa dall’industria del tabacco, per fare solo un paio di esempi.
Sia chiaro, non si vuole demonizzare queste situazioni: ognuno è libero di fare le proprie scelte. Tuttavia, sarebbe giusto — e soprattutto intellettualmente onesto — trattare la cannabis con lo stesso metro di giudizio. Anche perché, a differenza di molte sostanze legali, la cannabis non ha ancora provocato un solo morto nella storia dell’umanità.
La domanda allora diventa: siamo davvero in grado di valutare i rischi delle sostanze che consumiamo, o siamo più influenzati dalle narrazioni collettive che ci permettono di non mettere in discussione abitudini e valori radicati?

