L’intero comparto produttivo del settore della canapa industriale rischia di essere travolto da un cortocircuito normativo. È l’allarme lanciato da Confagricoltura, che chiede un intervento urgente del Governo per evitare la paralisi della filiera, che in Italia conta oltre 3.000 imprese e dà lavoro a 30.000 persone.
Al centro della crisi c’è l’articolo 18 del Decreto-legge Sicurezza, la norma che vieta tutte le attività legate ai fiori di canapa senza distinguere tra gli usi leciti della canapa industriale e quelli illeciti connessi alle sostanze stupefacenti. Un errore di formulazione che rischia di estendere il divieto all’intera filiera produttiva, creando incertezza giuridica, blocchi produttivi e danni economici incalcolabili.
La canapa industriale rappresenta oggi una delle filiere più dinamiche e sostenibili dell’agricoltura italiana. Le sue applicazioni spaziano dagli alimenti e cosmetici naturali fino ai materiali per bioedilizia e bioingegneria, settori in forte crescita e strategici nella transizione ecologica. Molte delle imprese coinvolte sono start-up agricole giovanili, che negli ultimi anni hanno scommesso sulla canapa come risorsa rinnovabile e multifunzionale, capace di coniugare sostenibilità ambientale e sviluppo locale.
Per ristabilire certezza normativa, Confagricoltura ha chiesto ufficialmente al Ministero dell’Interno un Atto di Interpretazione Autentica che chiarisca, una volta per tutte, la piena liceità delle attività legate alla canapa industriale. L’obiettivo è evitare che un errore di interpretazione possa bloccare un settore in regola, perfettamente conforme al Testo Unico sugli Stupefacenti e alle normative europee. L’associazione chiede inoltre al Governo di rafforzare i controlli e standardizzare le procedure, per garantire una gestione chiara e coerente della filiera, tutelando al contempo sicurezza pubblica e diritti delle imprese.

L’appello di Confagricoltura mette in luce una contraddizione profonda: mentre in molti Paesi europei la canapa è riconosciuta come coltura strategica per l’economia verde, in Italia rischia di essere penalizzata da un vuoto normativo. Senza un chiarimento immediato, oltre alle imprese agricole, a pagare il prezzo più alto sarebbero i lavoratori, gli investitori e i territori rurali che hanno creduto in questa coltura innovativa. In gioco non c’è solo il futuro di un comparto, ma la credibilità dell’intero sistema agroindustriale italiano, chiamato a scegliere se sostenere la filiera della sostenibilità o lasciarla affondare nella confusione burocratica.

