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------> Il Tribunale di Sassari ha emesso un’ordinanza che rappresenta una svolta per il settore della canapa industriale in Italia. Con la decisione n. 32+33/25 del 23 ottobre 2025, i giudici hanno annullato il decreto di convalida del sequestro probatorio e disposto la restituzione di 200 chilogrammi di materiale vegetale – foglie e infiorescenze – e di oltre 6.000 piante di canapa industriale a due coltivatori. Una decisione che ribadisce un principio fondamentale: in assenza di prove che attestino il superamento della soglia legale di THC, la coltivazione di canapa industriale è da considerarsi lecita.

Condannato a quattro anni e sei mesi per tre piantine: la violenza di uno Stato medioevale

Raffaele ha trentquattro anni, una moglie, due figli e una vita normale. Lavora, paga l’affitto, rispetta le regole. È una di quelle persone che lo Stato dovrebbe proteggere, non distruggere. Eppure nel 2025, in Italia, è proprio questo Stato che lo ha trasformato in un criminale.

Questa è la testimonianza raccolta da Meglio Legale, che da anni si impegna sui temi della cannabis e della legalizzazione, ma soprattutto nel dare voce a chi subisce le ingiustizie di uno Stato repressivo che non tutela i propri cittadini.

Raffaele ama la cannabis. Non la vende, non la spaccia, non la regala. La fuma. Da sempre, senza eccessi, come molti altri milioni di italiani. Un’abitudine personale, privata, che non danneggia nessuno. Per evitare di finanziare il mercato nero e di avere a che fare con ambienti pericolosi, aveva deciso di coltivare da sé tre piccole piante in casa. Tre. Un gesto di buon senso, di autonomia, di responsabilità.

Ma in Italia il buon senso non basta.
Un giorno, per una lite condominiale che non lo riguardava neppure, i carabinieri arrivano nel suo palazzo. Entrano, controllano, trovano le piante. Da quel momento Raffaele smette di essere un padre, un marito, un lavoratore: per lo Stato diventa uno spacciatore.

Dopo un processo estenuante, lungo più di un anno, arriva la sentenza: quattro anni e mezzo di carcere e ventimila euro di multa. Per tre piante coltivate in casa. Nessuna prova di vendita, nessuna attività illecita, nessun profitto. Solo la cieca applicazione di una legge vecchia, ingiusta e disumana.

Raffaele è distrutto. Non perché sia stato scoperto, ma perché ha capito quanto poco contino la logica e la proporzionalità nel sistema giudiziario italiano. Ha sempre creduto nella legge, nel valore delle istituzioni, nella giustizia come strumento di equilibrio. Oggi non ci riesce più. Come può uno Stato punire più severamente un padre di famiglia che coltiva tre piante di cannabis rispetto a chi evade milioni o devasta un bosco con l’abusivismo edilizio?

Meglio Legale è un’associazione che si occupa della legalizzazione della cannabis e della decriminalizzazione dell’uso delle altre sostanze.

La sua condanna non colpisce solo lui: mette a rischio la stabilità economica della famiglia, il futuro dei suoi figli, la fiducia in un sistema che continua a fingere di non vedere la realtà. Milioni di italiani fanno esattamente ciò che ha fatto Raffaele — consumano cannabis — ma vivono nel silenzio e nella paura, sperando di non essere “i prossimi”.

L’Italia del 2025 continua a trattare chi sceglie di coltivare o consumare cannabis come un criminale, mentre in gran parte del mondo la normalità è un’altra: legalizzazione, regolamentazione, educazione. Qui invece si preferisce la punizione cieca, la condanna morale, l’ipocrisia.

Raffaele non è un delinquente. È una vittima di una legge che non distingue, che non ascolta, che non capisce. Una legge che parla di giustizia ma pratica la crudeltà. E finché continuerà a esistere questo sistema, chi sceglie la libertà personale e la responsabilità verrà ancora trattato come un fuorilegge.

In un Paese maturo, Raffaele sarebbe un cittadino libero. In Italia, invece, è solo l’ennesimo uomo onesto trasformato in colpevole dallo Stato.

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