ITALIA

Gli imprenditori della canapa italiana non arretrano e resistono

La cannabis light è realmente vietata?

La “cannabis light” risulta vietata esclusivamente per un ristretto gruppo di esponenti politici promotori dell’articolo 18 del Decreto Sicurezza. L’aspetto paradossale di tale norma risiede nella sua evidente inapplicabilità, come già evidenziato in precedenti approfondimenti. Infatti, essa si scontra inevitabilmente con il giudizio del tribunale competente, che sarà costretto a disapplicarla. Ciò in quanto la legge richiamata dall’articolo 18 del Decreto Sicurezza, ovvero la legge 309/90, disciplina esclusivamente le sostanze stupefacenti.

La cannabis light, non essendo classificabile come stupefacente – come confermato da numerosi studi scientifici in ambito tossicologico – rende di fatto tale norma incompatibile con l’attuale giurisprudenza.

In tale contesto, l’imprenditore del settore risulta legittimato a proseguire la propria attività. Infatti, sebbene l’articolo 18 del Decreto Sicurezza sembri vietare la commercializzazione del fiore di cannabis light, la giurisprudenza italiana, le normative europee e la stessa Costituzione indicano chiaramente il contrario.

Come già accade fin dagli albori del comparto, eventuali controlli, sequestri e procedimenti giudiziari finiscono per determinare solo un aggravio per il sistema giudiziario, danni economici e morali agli operatori del settore, la delocalizzazione di imprese regolari e il trasferimento di milioni di euro all’estero o verso circuiti criminali.

Gli imprenditori italiani del settore resistono?

Sì, la resistenza degli imprenditori italiani del comparto canapicolo è concreta. Secondo quanto emerso da numerosi sondaggi svolti tramite social media e canali di messaggistica, il 75% degli operatori del settore continua a svolgere regolarmente la propria attività, sia in ambito agricolo che commerciale.

È innegabile, tuttavia, che all’interno del restante 25% si contino diverse realtà imprenditoriali di rilievo che hanno scelto di trasferire le proprie attività all’estero, mentre una parte ha sospeso temporaneamente le proprie operazioni e una piccola percentuale ha cessato definitivamente l’attività.

Rispettiamo profondamente ogni scelta individuale. La stanchezza psicologica, la sfiducia e le esperienze giudiziarie già vissute costituiscono motivazioni legittime per tali decisioni. Tuttavia, anche questi imprenditori, volendo, possono continuare a offrire un contributo prezioso, partecipando attivamente ai tavoli di lavoro e alle iniziative comuni a sostegno del settore.

Il popolo della canapa italiana vincerà.

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