ITALIA

La Germania come l’Austria: la canapa industriale tassata come il tabacco

In Germania si sta assistendo a un importante passo avanti nella regolamentazione del settore della canapa industriale, in particolare per quanto riguarda le infiorescenze prive di THC. Le autorità fiscali hanno recentemente iniziato a rilasciare marcature ufficiali su questi prodotti, trattandoli fiscalmente alla stregua di beni da consumo soggetti a tassazione sul tabacco, e non più come sostanze potenzialmente stupefacenti.

In passato, anche le infiorescenze con livelli minimi di THC – inferiori allo 0,3% – potevano comunque incorrere in sequestri, a causa di una clausola normativa che lasciava margini d’azione molto ampi alle autorità. Questo orientamento sembrerebbe ora destinato a cambiare, quantomeno per i prodotti con contenuto nullo di THC.

Resta tuttavia una certa disomogeneità interpretativa. Alcune dogane regionali hanno accolto la nuova linea, mentre altre potrebbero continuare a seguire le precedenti disposizioni. Inoltre, la cosiddetta “clausola di intossicazione” – che consente l’intervento delle autorità se si ritiene che l’uso possa produrre effetti psicoattivi – è tuttora valida, in assenza di una riforma legislativa più ampia.

Una delle aziende che ha potuto approfittare di questa nuova impostazione è la tedesca Sanaleo. Il suo amministratore delegato, Paul Portius, ha sottolineato l’importanza del riconoscimento legale, considerandolo un segnale positivo per l’intero comparto: un primo vero riconoscimento istituzionale della possibilità di operare nel rispetto delle regole.

Nel frattempo, anche in Austria la situazione normativa è in evoluzione. Una recente sentenza ha stabilito che i fiori di canapa con THC entro lo 0,3% debbano essere tassati come prodotti del tabacco e commercializzati esclusivamente attraverso i tabaccai. Questa decisione ha ridisegnato lo scenario per il mercato della cannabis leggera.

Secondo l’associazione Canapa Sativa Italia, si tratta sì di un progresso, ma anche di un’occasione persa. La mancanza di una regolamentazione che valorizzi la provenienza territoriale e le caratteristiche qualitative del prodotto rischia di appiattire il mercato, riducendolo a un sistema industriale a basso valore aggiunto. Il paragone è quello con il vino: senza protezioni e norme specifiche, anche un buon prodotto può finire per perdere identità e qualità.

D’altronde, proprio CSI, ha presentato in Camera dei Deputati uno studio elaborato da MPG Consulting per conto dell’associazione stima che un mercato più aperto, dove siano presenti rivenditori specializzati, avrebbe un impatto economico nettamente superiore: si parla di un potenziale fatturato annuo da 2 miliardi di euro e circa 22.000 posti di lavoro. Al contrario, un regime di monopolio sul modello del tabacco porterebbe ricavi inferiori a 530 milioni e meno di un terzo dei posti di lavoro.

Attualmente, le associazioni di categoria stanno intensificando il dialogo a livello europeo. L’obiettivo condiviso è quello di arrivare a una normativa armonizzata tra i vari Paesi, in grado di valorizzare le diverse filiere locali e offrire un quadro stabile per produttori, trasformatori e rivenditori.

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