Consideriamo un principio base che deve essere chiaro per i lettori: in generale l’uso di cannabis durante la gravidanza o l’allattamento è sconsigliato.
Gli studi scientifici sull’uso della cannabis in gravidanza presentano numerose lacune metodologiche, rendendo difficile trarre conclusioni definitive sugli effetti del THC sul feto. Molte ricerche non tengono conto di altri fattori di rischio, come il consumo di alcol e tabacco, rendendo difficile isolare l’impatto della cannabis. Una analisi di studi incrociati del 2016 ha evidenziato come i dati esistenti non siano sufficienti a dimostrare un chiaro legame causale tra l’uso di cannabis in gravidanza e danni al feto.
Le ricerche sono ancora da approfondire e quelle pochi dati a disposizione oggi sono basati sull’utilizzo di cannabis a scopo ricreativo. Il risultato di altre ricerche, invece, ha portato alla luce possibili effetti negativi sullo sviluppo comportamentale e neurologico del bambino. Sia il CBD che il THC possono attraversare la placenta e interferire sul sistema endocannabinoide del neonato.
In alcuni casi particolari, però, utilizzare il THC o il CBD a scopo terapeutico può rivelarsi una soluzione più sicura di altre.
Questo può avvenire nel caso di una gravidanza complicata ad esempio da forti nausee e vomiti duraturi, dove l’assunzione di CBD potrebbe placare tali effetti indesiderati e non incidere sul feto quanto potrebbe farlo un farmaco.
Per quanto riguarda la cannabis medica (con THC), nei casi di epilessia resistente ai farmaci, o patologie rientranti nell’utilizzo di CM, l’utilizzo dei cannabinoidi psicoattivi potrebbe essere l’unica soluzione per controllare tali patologie, con la possibilità di preservare il bambino da complicazioni dovute alla patologia.
In ogni caso, si consiglia l’assistenza da parte di medici professionisti nel settore della cannabis terapeutica, così da poter ricevere le giuste indicazioni per un corretto utilizzo. L’obiettivo primario è favorire un corretto equilibrio tra beneficio ed eventuale rischio.