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------> Il Tribunale di Sassari ha emesso un’ordinanza che rappresenta una svolta per il settore della canapa industriale in Italia. Con la decisione n. 32+33/25 del 23 ottobre 2025, i giudici hanno annullato il decreto di convalida del sequestro probatorio e disposto la restituzione di 200 chilogrammi di materiale vegetale – foglie e infiorescenze – e di oltre 6.000 piante di canapa industriale a due coltivatori. Una decisione che ribadisce un principio fondamentale: in assenza di prove che attestino il superamento della soglia legale di THC, la coltivazione di canapa industriale è da considerarsi lecita.

La canapa come fibra perfetta ma “non comoda”

La canapa è una delle colture più antiche della storia umana, con oltre 10.000 anni di utilizzo documentato. Per secoli, è stata una risorsa essenziale per numerose civiltà, dalla Cina all’antica Mesopotamia fino al Mediterraneo, offrendo materiali per tessuti, corde, vele, carta e molto altro. Oltre agli usi pratici, i suoi semi ei fiori erano noti per le proprietà terapeutiche.

Dal 2700 aC fino all’epoca romana, la canapa ha avuto un ruolo centrale in molte società, e nel Nord America è stata una coltura chiave a partire dal 1600. Persino Henry Ford, negli anni ’30 del Novecento, la impiegò per sviluppare la “Model T”, un’auto ecologica costruita e alimentata con derivati ​​della canapa, tra cui l’etanolo.

In Italia, la coltivazione della canapa ha una tradizione secolare, con una produzione fiorente fino agli anni ’50 e ’60. Prima della Seconda Guerra Mondiale, il nostro Paese era tra i principali produttori mondiali, secondo solo alla Russia. Intere comunità contadine vivevano grazie alla lavorazione della canapa, come dimostrano i dati della Garfagnana, dove tra il 1895 e il 1905 si producevano circa 85.000 tonnellate l’anno. Tuttavia, il boom economico e l’introduzione delle fibre sintetiche, uniti a una pesante propaganda antidroga, hanno portato a un progressivo abbandono di questa risorsa.

Si tratta di un errore strategico, perché la canapa è una delle piante più sostenibili al mondo. La sua coltivazione richiede pochissima acqua rispetto a colture come cotone o lino, cresce senza bisogno di pesticidi e fertilizzanti aggressivi e, anzi, migliora la qualità del suolo grazie al suo effetto di ossigenazione e assorbimento dei metalli pesanti.

Il processo di estrazione delle fibre è completamente naturale e si inserisce perfettamente nell’economia circolare. Gli scarti di lavorazione, come il canapulo (la parte legnosa della pianta), i fanghi di macerazione ei semi, possono essere riutilizzati in settori come la bioedilizia, l’alimentazione e la cosmetica.

I tessuti derivati ​​dalla canapa offrono proprietà straordinarie: sono resistenti, traspiranti, termoisolanti, durevoli e antibatterici. Inoltre, riflettono i raggi UV e non generano campi elettrostatici, rendendoli perfetti per il settore dell’abbigliamento e dell’arredamento.

Nonostante tutto, l’Italia ha smantellato la sua filiera produttiva, privandosi di un comparto industriale che un tempo era all’avanguardia. Tuttavia, negli ultimi anni sono nate diverse iniziative per rilanciare la canapa, tra cui la creazione di Federcanapa nel 2016 ei finanziamenti stanziati dall’Emilia-Romagna per ricostruire la filiera regionale. Anche il progetto EP Eco Planning – Future of Fashion sta lavorando per reintrodurre la canapa nella moda, sviluppando persino una viscosa innovativa derivata da questa pianta.

Il reinserimento della canapa nell’industria italiana rappresenterebbe una scelta sostenibile ed economicamente vantaggiosa. Il suo potenziale è immenso, ma pregiudizi e ostacoli burocratici ne hanno frenato la diffusione. Oggi, grazie alle moderne tecnologie di filatura, è possibile ottenere tessuti morbidi, brillanti e raffinati, perfetti per l’alta moda e il design.

Riscoprire la canapa non è solo un ritorno alle origini, ma un’opportunità concreta per creare un’industria ecologica, innovativa e indipendente.

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