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------> Il Tribunale di Sassari ha emesso un’ordinanza che rappresenta una svolta per il settore della canapa industriale in Italia. Con la decisione n. 32+33/25 del 23 ottobre 2025, i giudici hanno annullato il decreto di convalida del sequestro probatorio e disposto la restituzione di 200 chilogrammi di materiale vegetale – foglie e infiorescenze – e di oltre 6.000 piante di canapa industriale a due coltivatori. Una decisione che ribadisce un principio fondamentale: in assenza di prove che attestino il superamento della soglia legale di THC, la coltivazione di canapa industriale è da considerarsi lecita.

Quando l’ideologia prevarica su tutto

Qualsiasi azienda, con il proprio patrimonio, e le proprie idee può fare ciò che vuole; ma quando si opera nell’eco-sostenibilità o in settori di interesse comune, crediamo che sia necessario un occhio di riguardo alle decisioni. In questo articolo vogliamo portare alla luce un tema che ci sta molto a cuore. L’eco-sostenibilità della Cannabis e le aziende eco-sostenibili che la rifiutano.

Oggi portiamo l’esempio di un’azienda del del nord Italia (della quale ovviamente non faremo il nome) che si è impegnata nella riqualificazione del territorio con la produzione di oggetti totalmente ecosostenibili con materiale recuperato da un disastro ambientale. Un’iniziativa degna di nota, e che fa molto onore a questo gruppo di giovani che ha creato dal zero un progetto molto importante.

Dall’altra parte esiste una realtà che opera nel mondo della canapa, che era ben intenzionata nello sponsorizzare e vendere i loro prodotti. Una scelta altrettanto degna di nota e con un filo logico molto semplice. Canapa ed ecosostenibilità sono un binomio perfetto. Infatti, crescendo, la canapa, trattiene almeno 4 volte la Co2 trattenuta da qualsiasi altro tipo di pianta, inoltre purifica il terreno sulla quale cresce. La bio-plastica di canapa, molto più resistente ed elastica della plastica normale, ha un impatto pari a zero sull’ambiente, infatti, se gettata in mare, dopo circa due mesi diventa cibo per pesci. Lo stesso principio riguarda il settore della carta o quello dell’abbigliamento, che risulterebbe quasi ad impatto zero se lavorato con la canapa. Considerando che, ad esempio, solo il settore tessile è la seconda causa di inquinamento al mondo, la canapa sarebbe un’ottima soluzione a riguardo. Di esempi ne avremmo all’infinito per giustificare la presenza predominante della canapa nell’eco-sostenibilità.

Eccoci al nocciolo della questione: l’azienda che ha riqualificato un territorio e che ha prodotto questi famosi oggetti ecosostenibili, ha rifiutato la proposta dell’azienda appartenente al settore della canapa. Nulla di strano, come abbiamo già accennato in precedenza, ogni realtà è libera di proporre i propri prodotti a chi ritiene necessario. Ciò che non comprendiamo sono le motivazioni, le quali riguardano esclusivamente la sfera ideologica di chi gestisce l’amministrazione di tale azienda. Ci è stato riferita tale risposta: “Non siamo contrari alla vostra idea, ma temiamo che non tutta la nostra community lo capirebbe”.

Precisiamo, questo articolo non vuole screditare nulla e nessuno, ma vuole ancora una volta portare alla luce una situazione di dogma dal quale il nostro paese non potrà mai allontanarsi se a partire da queste piccole situazioni non si faranno dei passi avanti. Rifiutarsi di collaborare con aziende del settore della canapa per paura di perdere clienti, denota una mentalità media italiana ancora del tutto gretta e retrograda. Qui sorge spontanea una domanda:

quando cambierà la mentalità delle persone se non cambiano le nostre proposte?

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